La peste flagellava paesi e città della Provenza in quello scorcio finale del XV secolo. Niente e nessuno sembrava poter arrestare l’epidemia.
La cittadina di Fréjus, sulle rive del Mediterraneo, stava pagando un prezzo altissimo: metà della popolazione era morta, molti erano fuggiti e quelli rimasti erano chiusi in casa terrorizzati dalla morte imminente. In questo scenario di profonda desolazione si inserisce l’arrivo di una speranza inaspettata, quello di san Francesco di Paola, di cui il 2 aprile si celebra la memoria liturgica. Il fraticello, il 2 febbraio 1483, aveva lasciato a malincuore la sua Calabria alla volta della Francia, perché re Luigi xi, gravemente malato, voleva vicino a sé questo taumaturgo del quale si narravano miracolose guarigioni.
Francesco non voleva partire, ma non potette resistere a lungo alle richieste di un sovrano così potente. Dapprima riuscì a declinare le insistenze del re di Napoli, Ferrante d’Aragona, che appoggiava la richiesta del sovrano francese, ma le sue speranze di rimanere in Calabria crollarono quando il re Luigi xi si rivolse a Sisto iv. Il Papa non era in condizioni di rifiutare tale richiesta. Fu così, che l’umile frate, coinvolto in un gioco diplomatico più grande di lui e, nonostante la fragile salute, dovette abbandonare la propria terra e mettersi in viaggio.
La prima tappa fu Napoli, dove venne ricevuto con tutti gli onori da re Ferrante, che voleva conoscere quel frate di cui tanto si parlava. Incuriosito, si narra che un giorno, il sovrano si mise a osservarlo di nascosto mentre era assorto in preghiera nella sua cella e, con grande meraviglia, lo vide levitare da terra. Convinto della sua santità, il monarca cercò di farselo amico e gli offrì un piatto di monete d’oro per la costruzione di un convento nella città partenopea. La tradizione vuole che il santo ne prese una e la spezzò. Subito ne uscì del sangue, quindi si rivolse al re dicendo: «Sire questo è il sangue dei tuoi sudditi che opprimi e che grida vendetta al cospetto di Dio», e gli predisse la fine della monarchia aragonese. Giunse poi a Roma, dove venne accolto calorosamente dal Pontefice, che gli affidò il compito di difendere la causa della Santa Sede presso il re di Francia. In quel contesto, Francesco espresse a Papa Sisto le proprie preoccupazioni per la riforma della Chiesa.
Ripreso il cammino verso la Francia, il santo si imbarcò alla volta di Marsiglia. In quelle terre l’attendeva la peste che stava imperversando, tanto che sbarcato a Bormes-les-Mimosas, dovette subito confrontarsi con l’emergenza, liberando gli abitanti dall’epidemia. Era il marzo del 1483: la strada per Plessis-lès-Tours, dove risiedeva il re, era ancora lunga. Nel primo villaggio incontrato Francesco venne a sapere della triste situazione della città di Fréjus e volle recarvisi per salvare quegli sfortunati. La gente era allo stremo, ma il santo rese la gioia di vivere, semplicemente benedicendo e liberando tutti dal morbo. Da allora, gli abitanti ricordano con riconoscenza quell’intervento e, ogni anno, la sesta domenica di Pasqua, in suo onore organizzano una maestosa processione. Prima di girare per le strade cittadine, la statua del fondatore dell’ordine dei minimi viene collocata su una barca che viene fatta approdare al porto. La festa è conosciuta con il nome di bravade, perché al sacro si mischia il profano. Infatti, alla processione partecipano diversi corpi militari che con rulli di tamburi e raffiche di spari a salve accompagnano il corteo.
Il viaggio di Francesco verso la corte del re di Francia proseguì. Era guardato a vista dalle guardie reali che temevano potesse ripensarci e scappare in Italia. Giunto a Plessis-lès-Tours, il santo non guarì il sovrano fisicamente, ma lo salvò spiritualmente, convertendolo a Dio. Al suo capezzale, Francesco promise di rimanere in Francia fino a quando il delfino Carlo avrebbe raggiunto la maggiore età per governare. Per riconoscenza, il re dispose che le richieste diplomatiche di cui Francesco si era fatto latore fossero accolte. Dopo la morte di Luigi xi, avvenuta il 30 agosto 1483, il nuovo sovrano Carlo VIII non volle privarsi dell’aiuto del santo.
Sebbene immerso nella vita di corte, Francesco non abbandonò mai l’austerità, la preghiera e la penitenza, al punto da suscitare ammirazione tra la nobiltà. Molti seguirono il suo esempio e Tours divenne un centro di irradiazione del carisma dei minimi. Passarono gli anni e nella domenica delle Palme del 28 marzo 1507 Francesco venne colpito da una febbre insistente che non lo abbandonò più. Il Giovedì santo, nonostante la debolezza e i 91 anni di età, si fece condurre in chiesa per partecipare alla messa in cena Domini. Il Venerdì santo, chiamò a sé i suoi discepoli e li esortò ad osservare la Regola, la carità e il voto di vita quaresimale. Poi, dopo avere indicato come suo successore alla guida dell’ordine, padre Bernardino Otranto da Cropalati, chiese gli venisse letta la Passione secondo l’evangelista Giovanni. Morì mentre guardava il crocifisso, e al termine della recita della preghiera: «O Signore Gesù Cristo, buon pastore delle anime nostre, conserva i giusti, converti i peccatori, porta in cielo le anime dei defunti e sii propizio a me miserabilissimo peccatore». Erano le 10 del 2 aprile 1507. Venne sepolto a Tours nella chiesa conventuale. Purtroppo, nel 1562 durante le guerre di religione, gli ugonotti per vendetta contro i minimi, impegnati nella difesa della Chiesa cattolica, profanarono il corpo del santo e lo bruciarono con il legno di una croce.
Fonte: l’Osservatore Romano