ARCAVACATA DI RENDE (COSENZA) – Riceviamo (da Fernando e Roberto Santopaolo) e pubblichiamo.
Il 27 maggio del 1920, pochi anni dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, nella piccola contrada di Arcavacata di Rende, viene alla luce Vincenzo Santopaolo.
Sesto di dieci figli, nasce nella casa paterna, la stessa nella quale nacque suo padre e i suoi avi. E’ un periodo, questo, non certo facile per nessuno e ancora di più per famiglie così numerose.
Un pezzo di terra da coltivare garantiva sostentamento alla famiglia quanto meno per i beni di prima necessità ma, sfamare tante bocche, non era cosa facile per papà Giuseppe e mamma Giuditta. Una vita di stenti e sacrifici, ma di grande onestà e genuinità, di aiuti reciproci tra le famiglie della piccola comunità contadina.
Il 4 Febbraio del 1940, Vincenzo, non ancora ventenne, si reca al Distretto Militare di Cosenza per arruolarsi in seguito al ricevimento della chiamata di leva e gli viene comunicato che, nello stesso giorno, dovrà partire per essere assegnato al 26° Reggimento Artiglieria Corpo di Armata a Napoli. Tramite un compaesano, che si trovava anch’egli a Cosenza e che ritornava in paese, riesce ad avvisare i suoi familiari della sua imminente partenza. Il padre Giuseppe, il fratello Giovanni e alcuni suoi amici, in serata si fanno trovare alla Stazione di Rende per portargli la valigia e dargli un ultimo saluto!
Nella notte arriva a Napoli presso il Reggimento assegnatogli. La sera del 5 Febbraio parte da Bari a bordo della nave “Calabria” e la mattina seguente sbarca nel porto di Durazzo in Albania.
Da qui viene inviato nel distretto di Berat al 2° Gruppo, Prima Batteria, dove inizialmente gli viene dato l’incarico di montare la linea del telegrafo e successivamente gli viene assegnato il ruolo di telefonista perché la sua voce viene ritenuta chiara e limpida. Ruolo di grande responsabilità perché è lui che deve dare le informazioni ricevute, ai suoi superiori del Campo per consentire l’avanzata tattica e logistica del Reggimento.
L’11 Giugno il territorio albanese viene dichiarato in stato di guerra e il 28 ottobre dello stesso anno inizia ufficialmente la guerra contro la Grecia. In questa occasione Vincenzo racconta che il Ministro degli Esteri dell’epoca aveva dichiarato che sarebbe stata una guerra facile e solo di facciata. Invece non si dimostrò così perché l’esercito Greco schierò 18 Divisioni, il doppio rispetto a quelle italiane, che furono costrette ad una prima, brusca, ritirata.
Qualche giorno più tardi, il 31 Ottobre, ricorda con molta lucidità che una corazzata inglese dal mare, nelle vicinanze dell’isola di Corfù, sferrò micidiali cannonate contro l’esercito italiano che si trovava sulla terraferma nei pressi di Konispol in territorio albanese al confine con la Grecia. In questa circostanza Vincenzo, sotto la sua tenda da campo, si affida e prega la Madonna della Consolazione di Arcavacata. Tanta paura quella notte con diversi feriti e una sola vittima.
Nel novembre del 1940 l’esercito italiano tenta nuovamente di superare il confine greco ma una volta giunto sul fiume Thyamis, detto anche Kalamas, furono costretti nuovamente alla ritirata perché i greci fecero saltare i ponti non consentendo all’esercito italiano l’attraversamento con i cannoni.
Intanto il gelido freddo albanese e le condizioni precarie in cui vivevano i soldati italiani ai bordi di un pantano è causa di malaria per Vincenzo che si vede non costretto a partecipare al nuovo contrattacco ai danni dell’esercito greco. Così l’8 febbraio del 1941, Vincenzo viene ricoverato nell’ospedale militare da Campo di Valona in Albania e lo stesso giorno il tenente, Giovanni Gabelloni, autorizza il rimpatrio e viene imbarcato sulla nave ospedaliera “Aquileia”. Il 16 febbraio sbarca ad Ancona e il 20 viene trasportato in via definitiva nell’ospedale militare di Bergamo dove viene sottoposto alle cure del caso. Durante il viaggio da Ancona a Bergamo, alla stazione ferroviaria di Firenze, i fiorentini omaggiano i malati di guerra con ceste piene di arance, un gesto che commuove ed emoziona.
Dopo circa 20 giorni di degenza all’Ospedale di Bergamo viene trasferito in un Albergo sul Lago di Como per ossigenare le vie aeree. Il 7 marzo del 1941 è mandato in licenza di convalescenza e ritorna a casa dove continua ad essere curato dalla mamma Giuditta.
Il 2 Marzo del 1942 viene dichiarato guarito dal distretto militare di Catanzaro. Prima di partire per Napoli il suo nonno Michele gli regala una monetina di argento del valore di 5 lire e gli dice: “Caro nipote Vincenzo, ti saluto perché non penso che ci rivedremo più al tuo ritorno”. Tutti gli altri fratelli in quel momento erano a lavorare nei campi e non potettero salutarlo; una sua nipotina di pochi anni, Maria, gli disse: “Zio Vincè, ma quando torni?” E lui rispose: “Tornerò presto”. E con molta commozione e malinconia parte per Napoli dove raggiunge il suo Reggimento. Il 9 maggio, a distanza di due mesi, viene imbarcato via aerea da Lecce per Bengasi (Libia) e viene assegnato al Secondo Reggimento Artiglieria Contraerea.
Qui prende parte al presidio per difendere la città di Bengasi dagli attacchi degli eserciti inglese e americani. La pressione degli eserciti anglo-americani è però molto forte e costringe l’esercito italiano a ritirarsi verso occidente. Vincenzo arriva così a Tripoli passando per il deserto sirtico e cirenaico, ma la ritirata dell’esercito italiano continua da Tripoli sino alla Tunisia nelle vicinanze di Hammamet dove arriva l’ordine della resa.
L’11 Maggio del 1943, Vincenzo insieme ai suoi compagni, viene fatto prigioniero di guerra dagli inglesi. Dalla Tunisia i prigionieri raggiungono l’Algeria a piedi, alternando alcuni tragitti su carri bestiame in condizioni estreme e disumane e venendo maltrattati dagli inglesi. Vincenzo è stremato, ha una forte enterocolite che lo debilita ulteriormente, è al limite delle sue forze.
Giungono al porto di Algeri dove i prigionieri vengono imbarcati alla volta della Gran Bretagna. Un lungo viaggio in nave durante il quale il cibo ai prigionieri viene dato con il contagocce e Vincenzo, tra l’altro, soffre anche di un terribile mal di mare. Dopo alcuni giorni di navigazione sbarcano a Glasgow, la più grande città portuale della Scozia. Da lì, Vincenzo viene deportato in un vicino campo di concentramento e un mese più tardi trasferito in un altro campo, il n° 27, ad Hereford, a circa 100 miglia ad ovest di Londra, in Inghilterra. Era il prigioniero n°295, questo numero lo ricorderà per tutta la vita. Ad Hereford vi rimarrà sino alla fine della sua prigionia, durata tre anni, alternando lavori agricoli come la trebbiatura del grano, la raccolta delle patate e della barbabietola, ecc. a lavori industriali. Il Campo in realtà serviva solo come dormitorio mentre i lavori nei campi venivano condotti presso le diverse masserie presenti in zona. Non percepiva una retribuzione, ma solo vitto e alloggio e una moneta in plastica coniata appositamente e spendibile solo all’interno del campo di concentramento. In questo periodo di prigionia riceve la triste notizia della morte del nonno Michele, ne rimase molto addolorato e gli venne subito in mente l’ultimo saluto e il regalo delle 5 lire!
Dopo tre anni di prigionia, il 21 luglio del 1946, rientra in Patria sbarcando a Napoli dove viene accolto in un centro di Fuorigrotta. Dopo tre anni di guerra e tre di prigionia, all’età di 26 anni, Vincenzo ritorna nella sua terra natia ad Arcavacata di Rende, ad aspettarlo ci sono i genitori, i fratelli e le sorelle.
Saranno tempi di duri lavori nei campi, come lo sono stati i 6 anni di guerra e prigionia, la famiglia è ancora numerosa ed ha bisogno di lui, come degli altri figli maschi. Ma Vincenzo è forte, la guerra e la prigionia lo hanno temprato, nonostante abbia trascorso gli anni migliori della sua giovinezza sul fronte militare.
Il 12 Febbraio del 1950, all’età di 30 anni, convola a nozze con Costantina Puntillo, anche lei di Arcavacata. L’anno dopo nascerà il primogenito Gianfranco e, dopo 12 anni, il secondogenito Roberto.
Nel 1987 andrà in pensione dopo aver lavorato come operaio edile nella costruzione dell’Università della Calabria.
Il resto è storia recente.
In questa lunga vita, intrisa di rischi, pericoli, stenti e sacrifici, la Madonna della Consolazione, da lui spesso invocata sotto i bombardamenti, è stata la sua protettrice custodendolo sotto la sua protezione. Di piccola statura, apparentemente esile, il segreto della sua longevità è sicuramente da ricercarsi nella sua genetica che gli ha conferito una forza interiore e fisica, di gran lunga superiore alla sua fisicità. Determinato, razionale e deciso, ma mite in ogni sua azione, si è sempre caratterizzato per questi aspetti, ma anche per la sua generosa disponibilità verso gli altri.
I suoi due grandi hobby sono stati la pesca dilettantistica con rete a bilancia praticata nei fiumi e torrenti della zona e poi andare alla ricerca di funghi per i boschi della Sila in compagnia dei suoi vecchi e spassosi amici di sempre con i quali ha condiviso momenti di spensierata felicità.
La famiglia è stata, ed è tuttora, il suo punto di riferimento. La moglie, i figli, le nuore, Rosa e Assunta, e i suoi 4 nipoti, Vincenzo, Francesco, Fernando e Federico, resteranno uno dei più grandi doni che il Signore gli ha voluto regalare nella sua lunga vita. Così come un dono sono stati questi anni vissuti, lo saranno quelli che il Signore gli vorrà ancora concedere.
Narrazione, date e luoghi, relativi ai fatti di guerra, sono stati indicati con grande precisione nei giorni scorsi, dal centenario.