La sanità calabrese al tempo del coronavirus, le riflessioni di un infermiere

“Una riflessione sulla nostra posizione in questo momento difficilissimo ma non solo; soprattutto nella quotidianità, nei turni che sembrano non finire mai, tra mille cose da fare e da gestire, al di sotto delle risorse minime.

Si arriva al marcatempo senza sapere mai cosa ci aspetterà veramente una volta entrati nel pronto soccorso.

Immaginare il nostro sforzo fisico non è mai come metterlo in pratica seriamente, immaginare il nostro grado di concentrazione non è mai come dover essere efficienti a volte anche per diciotto ore filate.

E non c’è Natale, Capodanno, Pasqua, Pasquetta che tengano, e neanche sabati o domeniche.

L’ ospedale è una città aperta 24 ore su 24 per 365 giorni l’anno.

Il nostro lavoro è fatto di braccia, forza, cuore, ma soprattutto TESTA.

Non puoi farlo se non hai delle conoscenze e delle competenze specifiche; eppure siamo ancora identificati come quelli che lavano un fondoschiena, il che, va benissimo, perché fa anche quello parte delle nostre attività, ma facciamo anche tanto altro!

La stragrande maggioranza delle persone però ignora quale sia il carico di responsabilità diretto e indiretto che ci portiamo addosso ogni santissimo giorno in ogni santissimo turno, quando sembra che il paziente respiri peggio del solito o quando ha la febbre alta, quando non riesce ad alzarsi dal letto, quando sanguina, quando vomita bile, quando semplicemente i nostri occhi devono arrivare prima di qualsiasi altra cosa al mondo e a volte, quando succede, siamo guardati anche con una sorta di diffidenza cosmica.

U mbermer (infermiere)…

Facciamo fatica ad affermarci, facciamo fatica anche perché lavoriamo con i presidi a disposizione limitati, a volte anche insufficienti, facciamo fatica perche facciamo il lavoro di quattro persone in due se va bene.

Facciamo fatica perché il nostro mondo e i nostri orari sono sballati.

Andiamo a letto quando gli altri si alzano e a lavorare quando gli altri vanno a dormire, non sappiamo mai che giorno è.

I nostri figli si abituano presto, diventano subito grandi, per più notti al mese sanno che noi non ci saremo.

Eppure, nonostante quello che facciamo, ogni anno i contratti sono sempre peggio, ogni anno i diritti diminuiscono e aumentano le responsabilità, gli scatti di anzianità però restano bloccati per anni, anzi non si sbloccano proprio.

Nessuno si preoccupa della nostra categoria eppure tutti, chi per un parente, chi per esperienza personale, almeno una volta nella vita ha tastato con mano la vita di merda che facciamo. Quante telefonate riceviamo per consigli ed aiuti.

Poi arriva l’emergenza… Arriva il “Corona” e tutto ad un tratto noi infermieri (i mbermer) e tutti gli operatori sanitari diventiamo eroi perché pronti a metterci in prima linea per salvare il mondo.

Improvvisamente si scopre che degli infermieri c’è bisogno come l’aria, improvvisamente si è disposti a pagare €30 l’ora per farci andare a lavorare nelle zone rosse, e nelle tende pre-triage, improvvisamente si anticipano le lauree perché serve personale, IMPROVVISAMENTE IL QUIBUS (i soldi, come lo chiama il mio collega Mimì) esce fuori.

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E noi che avremmo dovuto scioperare per le nostre giuste cause, che ci abbiamo spesso rinunciato per etica professionale, per i nostri pazienti, ci chiediamo ma finita l’emergenza che ne sarà di noi?

Noi che le emergenze le affrontiamo tutti i giorni, se proprio dobbiamo dirla tutta.

Tutti i giorni lavoriamo con pazienti infetti, tutti i giorni vediamo e assistiamo pazienti che si recano al pronto soccorso, non conoscendo nulla delle loro potenziali patologie infettive, non solo adesso che c’è il coronavirus, noi siamo a rischio tutti giorni, ricordatelo.

Abbiamo paura, come tutti, perché siamo essere umani come voi.

SEMPRE, 365 giorni su 365 e non per due mesi come vogliono farvi credere.

È questo ciò che dovrebbe entrare nella testa delle persone e delle istituzioni, che non siamo eroi o eroine, siamo semplicemente dei professionisti poco riconosciuti, persone che vorrebbero lavorare in sicurezza ed essere riconosciuti per le responsabilità che abbiamo quotidianamente.

Forse è il caso di riflettere tutti insieme, insieme a voi cari paesani cari cittadini.

E’ questa la Sanità che volete?”

Giannantonio Sapia, Infermiere presso Pronto Soccorso Ospedale di Rossano (Cs), Segretario Aziendale UIL FPL.

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